Distacco e vacanza

Genova 28/08/2010

La nave per Palermo si allontana dal molo di Genova e mi giungono subito, in un'ondata maestosa e ribollente, le emozioni lasciate nell'aria dalle anime che avevano visto allontanarsi la propria terra come la vedo ora.
Mi lascio attraversare da questo rombo di temporale emotivo trovandomi bisognoso, dopo tanto tempo, di provare ancora qualcosa di assoluto, primitivo e potente in questo sentimento di abbandono della terra; la fuga dalle cose umane che rimpiccioliscono; i contorni della vista si allargano divenendo indistinti e meno incombenti; la scia, bianca nella notte, lasciata al mare che la ricopre e dissolve.
I vari moli ed i porti vicini passano sul fianco nella notte come carovane inanimate ed infine il porto mi saluta con il bagliore cadenzato della lanterna. Sento anche cosa significasse il ritorno, arrivare a distinguere nel buio la luce intervallata del faro di terra dopo il piatto continuo orizzonte del mare. Terra, casa, Patria: parole relegate a livelli inferiori di significato.
Ho esplorato la nave nelle sue tre dimensioni, gli aerei ed i treni si sviluppano su due dimensioni: una nella direzione di marcia e l'altra, insignificante, ridotta allo spazio dei sedili; l'auto ne è addirittura priva. Lo spazio della nave invece è più complesso anche di molti luoghi di terra. E' un mondo autosufficiente in movimento con un suo centro di gravità di cui si percepisce lo spostamento e l'influenza perenne di qualcosa di immenso e pesante che fuori, da qualche parte, fa barcollare e misurare male il passo e valutare in modo sbagliato le distanze dagli oggetti che vuoi afferrare. La nave è grande, piena di interstizi e passaggi esclusi al pubblico, ma quelli lasciati ad esso sono segnati da una patina di lusso che, in questo scafo specifico, langue sotto l'incuria di una manutenzione e pulizia superficiali: quel che non si può pulire e rinnovare viene ricoperto quando possibile di vernice che, sulle navi, diviene nei casi estremi, il vero guscio portante del natante. L'esplorazione è volta a trovare il posto migliore per una sperata notte di sonno sul ponte aperto in balia delle stelle, osservando il moto apparente delle stelle prima di chiudere gli occhi nel vento. Il ponte esterno più alto era invece inzuppato di umidità collosa, il legno delle assi del pavimento pregno e viscido. Ho trovato un piccolo posto rialzato ed asciutto, una cornice stretta dove alla fine mi sono appisolato quasi affrancandomi per non rotolare nel rollio del mare. Il ponte è deserto, il serraglio degli animali da compagnia diffonde, nella notte salmastra, il suo odore unito agli uggiolii delle bestie che in piccole gabbie trascorreranno il viaggio dei loro padroni.
Traguardo due stelle attraverso il reggimano della piscina e le vedo oscillare, la luna pallida, pulsante da una coltre di nubi che cambia continuamente di spessore nel movimento. Qui mi addormento e sogno nel freddo umido vento del mare che sento incessante tutto intorno, mi sono coperto chiudendo il gilet, calato il cappello fin sulla faccia per fare buio. Sogno di essere nello spazio profondo, forse per la sensazione trasmessa al mio corpo del continuo rollio, dalla mancanza di riferimenti della notte e del mare mescolati in un unico elemento. Sono su una nave spaziale ed il buio fitto del mondo reale è il nero insondabile dell'universo. Ho tanto atteso questo viaggio nella notte infinita, verso una destinazione che è solo un nome per tutti e per me una meta non pronunciata per la scaramanzia diffusa tra tutti i naviganti. Attraverseremo lungo una curva infinita lo spazio che ci separa da un altro sistema simile all'originale, posto che esso stesso lo sia davvero e non sia, l'umanità, una inconsapevole carovana di nomadi; c'è qualcuno con me, ma sono spettri indistinti di persone note che in vita, quella lasciata indietro, si apprestano a dormire come me. Vorrei star sveglio, provare su di me tutto il viaggio fino alla destinazione, ma non è possibile, siamo pochi volontari ubriachi di ignoto, trascorreremo centinaia di anni sospesi nel nulla di un sonno vicino alla morte per poter rinascere, se Dio lo vorrà, a destinazione. Il Viaggio l'ho voluto io, mia è l'iniziativa di lasciare l'appiglio insignificante della roccia su cui siamo nati tutti per scoprire l'altra possibilità, un altro inizio. Ci salutiamo tutti abbracciandoci prima del sonno, tra noi è un arrivederci, con la terra lasciata è stato un addio perenne, lasciati i nostri cari e gli amici come in un sacrificio volontario, abbandonandoli alla loro sorte naturale, quella che di noi ricorderanno è segnata nella traccia fiammeggiante della navetta destinata a questa arca viaggiante. Le nostre probabilità di sopravvivenza sono insignificanti, lo sappiamo bene, ma la sete di scoperta e la curiosità vanno oltre ogni forma di autoconservazione e, paradossalmente, potrebbe essere invece la nostra impresa l'unica vera possibilità di dare continuità all'uomo, posto che lo meriti.
Il sogno svanisce per un rumore diverso dal solito che mi ha destato, un tale passa barcollando sul ponte con all'orecchio un telefonino, parla a bassa voce, di cosa e con chi all'una di notte nella tariffa di roaming marino, non è dato supporre. Sono tutto intirizzito per la posizione scomoda e per il freddo, ma riposato, il sogno era come un film reale e coinvolgente, pieno di speranza e di aspettative, denso della reale tristezza per la sensazione di distacco ed abbandono dalle persone care lasciate sulla terra. Il mare buio è confuso con il cielo tutto intorno alla nave. Dalla vetrata del ponte guardo fuori fumando e vedo la spuma sul fianco della nave chi si fa largo come se risalisse il mare per rituffarsi ritmicamente, la spuma fa diversi disegni ad ogni sbalzo, ora larghi ora stretti in una infinita varietà di forme che mi ipnotizzano togliendomi il senso del moto. Nella notte senza luna è come se la nave fosse ferma in un non spazio e solo il tempo scorresse, cadenzato dai disegni della schiuma in continuo animarsi.
Trovo la sala delle poltrone cui sono destinato per il riposo, è satura di odori umani, quasi deserta, solo a tratti qualcuno guarda distrattamente lo schermo televisivo che diffonde un nulla di spettacolo tra sorrisi, battute ed ammiccamenti di chi lo presenta come se fosse l'unica occasione della sua vita di far divertire il pubblico. Alcuni si sono arrangiati come profughi per tentare il sonno, circondandosi delle proprie cose, stendendosi di traverso su tre o quattro poltrone vuote, scarpe lasciate sotto al sedile, zaini e borse posti a cuscino o appoggio. C'è solo da scegliere per stendermi, ma non è facile trovare il posto meno sporco e non segnato dalla impronta di centinaia di teste e spalle e braccia sudate che mi hanno preceduto, la scarsa pulizia della nave tocca forse il suo apice di incuria qui nella sala poltrone, senza contare i cessi adiacenti, semiallagati da un continuo fuoriuscire di dubbia acqua da chi sa dove. C'è anche una doccia, lurida, senza un posto dove nemmeno attaccare o posare i vestiti. Ma trovo alfine il luogo e mi adagio abbastanza comodamente. Di nuovo mi sveglio prima dell'alba e cammino barcollando verso il ponte scoperto per una sigaretta protetta dal vento. La prima luce si fa strada tra le nuvole verso quella che dovrebbe essere la terraferma, vedo le scie degli aerei alte nel cielo, tracce rese luminose dalla luce giunta in anticipo a quella quota.
Ho meditato sulla essenza del viaggio che in nave assume sfumature totalmente diverse dal viaggiare con altri mezzi: in aereo è la velocità a sottrarre la percezione della distanza, mentre la stessa percezione viene meno nello spostarsi sulla terraferma per il continuo contatto con la visuale cangiante dei luoghi attraversati. Per mare, lontani dalla costa e specialmente di notte, è come un viaggio nel non-tempo e nel non-spazio; pur se gli orologi continuano a segnare il suo trascorrere il tempo, è il tempo della nave che governa i ritmi, mentre lo spazio, privo di riferimenti, diviene nullo. Solo prossimi alla destinazione ci si accorge del piccolo miracolo che questo mezzo ha compiuto: spostare una gran massa di persone e cose: letteralmente potrebbe spostare interi villaggi o cittadine da un luogo all'altro.
Poi c'è tutta la parte umana, la presa di contatto con uno sconfinato, sfuggente e potentissimo elemento che vive di vita propria, che è vita pura, ma che rappresenta una minaccia continua all'insignificante piccolo essere che lo attraversa racchiuso da paratie metalliche e mosso da motori che sappiamo potentissimi, ma inutili contro questa immensa forza latente che si lascia solcare. Anche se la nave è affidabile e solida ed è fatta per reggere le tempeste, è insignificante, trascurabile rispetto alla massa d'acqua che la lambisce senza la minima stanchezza, senza che vi sia la minima interruzione della sua pressione e della sua attività. Ciò che ho sempre saputo, ma che ora mi sorprende: esiste qui vita perfettamente adattata al moto continuo, noi stessi da esso deriviamo e ci siamo staccati per una spinta verso la terra che mi risulta ora inspiegabile. Se staccarsi dal mare è evoluzione, forse staccarsi dalla terra è il passo successivo in questa direzione, oppure è tutto un caso nel caso nel caso e siamo qui per miracolo.
Se un Creatore avesse studiato e congegnato tutto questo, anche solo l'inizio e lasciato poi, come credo, al caso o alla volontà di un animale più intelligente degli altri il progredire, quale inconcepibile miracolo, quanto siamo ancora larve di larve per poter solo pensare di emularlo nelle nostre infime iniziative di perpetuazione, nelle brame di progresso o nella corsa inarrestabile a costruire cose. Non riesco ad andare oltre pensando a questo, non posso continuare ad esprimere questi pensieri che mi portano verso l'assoluto che intravedo sempre in agguato dietro le pieghe della mia coscienza.





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