Mattino

Ancora un mese e ce ne andiamo tutti in vacanza. Manca poco, già ci sono i segni di cose lasciate sospese perché l’esito cadrà nel periodo dove saremo tutti assenti, tutti noi stessi, finalmente. 
Dormire sul balcone e svegliarsi alle prime luci, nel fresco che schiarisce anche la mente. Chiudo gli occhi la notte sui puntini delle stelle che giocano con le nuvole passeggere; dormo preso da sogni sensuali, dove sono sempre appeso a qualcosa, sull’imminenza di svolte misteriose o travolgenti che lasciano ben sperare nella loro indefinitezza. Forse promesse, forse perché il corpo rimane appeso nel vuoto del balcone circondato dagli ampi spazi e non da mura a far da confine ai sogni.
Riapro gli occhi nell’azzurro terso, compiuto ormai nel dipanarsi di poche ore di sonno, l’alba si annuncia appena prima che il sole colori l’aria di albicocca e pesca e le ombre divengano nette proiezioni dei profili di ogni cosa.
L’udito anche si risveglia per coppie di tortore insistenti che si chiamano in un chiacchiericcio ritmico e ripetitivo. Sto a guardare placidamente il cielo mentre mi tiro insieme per lo sforzo di sedermi sulla brandina, uscito dal bozzolo del sacco di cotone che pare quasi una tela di ragno, usato per coprire il corpo, ma tenue abbastanza da lasciarlo respirare libero al ritmo degli aliti notturni.
Mi affaccio al balcone. L’aria è ancora fresca dappertutto, pulita e monda da polveri o vapori o dal movimento vibrante del caldo della terra, ma ancora per poco. L epiante sono verde carico. Le controllo una ad una sussurrando commenti di incoraggiamento ad ogni foglia. Annuso la menta piperita le cui foglie ho usato, sfregandomele sui polsi e sulla fronte, per stimolare la caduta nel primo sonno. L’ultimo odore di ieri, il primo di oggi.
In casa la candela consuma l’ultimo barlume di fiamma scomposto sotto al fornello di cera profumata d’incenso, quello di chiesa scovato non so più dove, anni fa.
Si stanno accumulando ricordi, in questa casa: vi sono già cose di cui quasi non ricordo il perché sono lì. Giacciono qui da tanto che non ricordo lo stato d’animo di quando le ho volute né il perché. Eppure contribuiscono a rassicurare l’idea di rifugio che mi sono scavato attorno.
Il sole sorge oltre al tetto della casa di fronte che ancora dorme tutta. Faccio un giro per abbassare le tapparelle, per fare ombra dalla luce ora netta del sole. Metto in ombra la camera torrida dove dorme Marta, nella stessa identica posizione di quando l’ho lasciata al saluto della buona notte. La mia bambina tiene ora tutta la lunghezza del letto, le lunghe gambe sovrapposte e leggermente piegate in una posizione da statua dormiente. Faccio subito colazione lasciando che il latte freddo di frigorifero si intiepidisca appena col caffè abbondante appena fatto che vi verso. Sui biscotti trito con il coltello serramanico sardo (altri oggetti di ricordi che albergano) scagliette di cioccolato fondente dalla tavoletta fredda inaugurata ieri da Marta. Tengo la radio bassa, musica rock in sordina; un notiziario di non-notizie si inserisce tra un lotto di pezzi e l’altro. Non notizie dalla immobile fangopieduta Italia.
Un altro giorno ha inizio, sono le sei e trenta del mattino e già il caldo promesso si annuncia. 
Sono felice.
Sono povero e non manco di nulla. Resta poco da portarmi via quando ho questi momenti di lucida considerazione, in un fresco mattino, di fronte alla tazza di caffelatte da svuotare dal pane inzuppato coperto di scaglie di cioccolato fondente.
Ho mia figlia nella sua tranquilla presenza, nel suo sonno che non voglio turbare. Ieri pomeriggio siamo stramazzati contemporaneamente, colpiti all’unisono dalla mazzata di  caldo; lei a bocca aperta ed occhi semiaperti sul divano-stufa nella stanza-studio che diventa l’alloggio delle due sorelle quando sono qui; io, dopo poche righe di lettura di un sostanzioso libro, bello lungo, per passarci tanto tempo tanto da diventare oggetto inseparabile per un bel tratto, lasciato andare, di poco o nulla vestito se non della minima decenza, in rivoli di copioso sudore sulla porpora di lino che ormai sa di me da lontano anche dopo il bucato, nel vasto monumentale giaciglio di scuro teak riciclato.
Mi sono svegliato a sera fatta, con la cena ancora da mettere in piedi. Ho preparato filetti di trota salmonata passati al minimalista fornetto, trovati poi ottimi da entrambi, insalata fresca, melanzane già grigliate, tritate fredde coi capperi mondati dal sale. Gesti abili, veloci, minimi ed efficienti per avere una tavola attorno a cui stare per parlare, a fine cena, del più e del meno. E’ stato bello vederla mangiare con gusto tutto. E’ la mia bambina, non c’è storia di fronte all’istinto del genitore che nutre il figlio, puoi pure fare il distaccato quanto vuoi, ma su questo dato di fatto tutti dobbiamo fare i conti: l’amore viscerale schiaccia qualunque razionalità costruita pazientemente.

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